Cosa significa scegliere la spiaggia adatta ai bambini? Per la maggior parte dei genitori vuol dire servizi, comodità e sicurezza. Per noi non proprio...
In questo post vi regalo un capitolo del mio libro Pondicherry is nice! che racconta quella volta che abbiamo dovuto attraversare una palude per fare un castello di sabbia.
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Oggi abbiamo deciso che non torneremo alla solita spiaggia ma andremo alla famosa Elephanta Beach. L'autobus da prendere è sempre lo stesso, nonché unico, dovremo soltanto scendere un po' prima e sarà meglio chiedere a Ciak il castoro perché la spiaggia non è segnalata.
Perciò, appena montati, gli diciamo subito le nostre intenzioni e ci fa cenno di sederci e non preoccuparci, che ci dirà lui quando scendere. Naturalmente il mezzo è pieno e intorno abbiamo più o meno sempre le solite facce; tranne Loretta e Ada che non si sono viste nemmeno in paese. Saranno rimaste a letto oppure andate a un'altra spiaggia: peccato, avrei voluto invitarle a venire con noi.
Dopo le solite curve giungiamo in prossimità di una salita e l'autista si ferma per farci scendere, in quel momento la coppia che occupa il bungalow di fronte al nostro ci dà alcune indicazioni sul percorso: «Go straight and turn on right at the branch point».
E in sottofondo si sente una voce che traduce simultaneamente; abbasso gli occhi e vedo una tizia brutta da farti calare la vista, che si è auto nominata interprete. Il mio sguardo dubbioso si posa su di lei, ma poi torna subito ai due che ci stanno indicando la strada: avrò tempo in futuro per mandarla a quel paese.
Ci incamminiamo subito lungo un sentiero che conduce dentro una fitta boscaglia; il prato che attraversiamo è verdissimo e il cielo di un azzurro infinito. Si sentono cantare una grande quantità di uccelli e si respira un'aria diversa: il profumo della giungla è quanto di più bello ed evocativo abbia mai sentito il mio naso. Presto il prato lascia il posto all'infittirsi della vegetazione; il sentiero continua a snodarsi chiaramente davanti a noi; tutto intorno sempre più silenzio.
«Quanto ha detto che ci vuole quel tipo per arrivare alla spiaggia?»
«Una buona mezz'ora, anche quaranta minuti di cammino».
«La strada comunque è giusta?»
«Ma sì certo! E' l'unica, a parte l'incrocio all'inizio dove ci hanno detto di prendere a destra», tranquillizzo Graziano che, come sempre, dopo un po' che non vede segni tangibili di strada esatta, inizia a preoccuparsi.
Nel frattempo neanche a dirlo che Francesco ha cominciato a lagnarsi del troppo cammino e, ben presto, finisce sulle spalle di babbone, mentre io porto lo zaino con acqua e viveri per la giornata. Ormai il sentiero si restringe sempre più, schiacciato dalle chiome degli alberi che si toccano in cima, dando l'impressione di camminare sotto una volta di rami; il percorso diviene sconnesso per le troppe radici che si intrecciano sotto i nostri piedi, facendoci inciampare di quanto in quanto. Graziano deve fare attenzione anche ai rami più alti perché Francesco potrebbe prenderli in pieno volto dalla sua posizione; per questo motivo cammina davanti a me, cosicché possa dirgli quando abbassarsi: diventa sempre più difficile. Ad un tratto incrociamo un paio di persone e questo un po' ci tranquillizza sulla correttezza della strada, non solo, sono proprio loro a dirci che siamo quasi arrivati.
Ancora altro cammino finché non giungiamo in prossimità di un acquitrino; la giungla ormai è alle nostre spalle e siamo senz'altro in prossimità del mare. Con lo sguardo cerchiamo un punto dove poter attraversare senza doverci immergere nella palude: non troviamo nessun posto migliore rispetto a un altro e quindi iniziamo la traversata senza indugiare oltre.
Lo schifo che proviamo camminando nella melma è indescrivibile: è come se sprofondassimo nelle sabbie mobili e ogni passo è un'immersione nel fango più completa. Non solo, è impossibile tenere i sandali, perché si fanno troppo pesanti al momento di sfilare il piede dalla palude per fare un altro passo. Perciò via le scarpe: la sensazione schifosa diventa totale, senza più nemmeno l'impressione di essere in qualche modo protetti da una suola. Francesco è sempre sulle spalle di Graziano, che per tutto il peso sprofonda ancora più giù che se camminasse da solo.
Oltre alla melma ci sono anche delle viscide conchiglie che infittiscono sotto i nostri piedi sempre di più; sto pensando anche all'eventualità di qualche coccodrillo salmastro, e scandaglio la riva della palude costantemente con lo sguardo. Nessuno dice più una parola: siamo troppo impegnati a staccarci le lumache dai polpacci.

Dopo un po' la consistenza del suolo cambia e diventa sempre più compatta, fino ad asciugarsi e diventare sabbia: siamo arrivati in spiaggia.
Sul versante opposto della baia, un padre sta insegnando ai figli come pescare con delle lance di ferro, infilzando direttamente il granchio che si trova nella sua tana. E ai piedi delle mangrovie è pieno delle loro tane scavate, l'ho notato mentre attraversavamo la palude.

I coralli che rendono tanto famosa questa baia sono però stati duramente colpiti dalla furia dello tsunami, che qui è stato particolarmente violento, riversando sulla costa non solo le sue acque ma anche una serie di detriti colpevoli di aver scalfito soprattutto gli esemplari di brain coral. Inoltre pare che venga praticata la pesca con la dinamite, anche se non notiamo nessun segno particolare di questa triste consuetudine, immergendoci in tutta l'insenatura: è probabile che sia diffusa solo lungo le baie accessibili via mare. Quello che invece non passa assolutamente inosservato è il danno che le barche, sia di pescatori che di turisti, fanno ogni qual volta attraccano l'ancora, troppo spesso in corrispondenza dei coralli, che hanno veri e propri solchi ben visibili soprattutto nella parte più bassa della barriera.

Poco più in là, tre pescatori di granchi esercitano la loro arte lanciando la rete sugli scogli, possibili nascondigli dei crostacei. Nuotando con la maschera abbiamo notato che parecchi coralli sono stati danneggiati da questa pessima abitudine e, via via che la marea cala col passare del giorno, i pescatori si spingono sempre più lontano dalla riva, potendo camminare sugli scogli affioranti, giungendo fino alle prime formazioni coralline e passandoci sopra. Adesso: è probabile che vadano sensibilizzati sulla questione che i coralli sono forme di vita che crescono molto lentamente, che sono un patrimonio dell'umanità che si sta sempre più assottigliando, che distruggendoli si compromette un intero habitat, e via di questo passo. Ma, nell'immenso menefreghismo del genere umano verso l'ambiente e la natura, tra le petroliere che riversano costantemente nel mare, tra la pesca intensiva che ci ha fatto dimenticare la stagionalità del pesce così come di frutta e verdura, e nella più ampia considerazione del mare come grande discarica di tutte le schifezze prodotte dall'uomo e come riserva di cibo illimitata, considerando tutto ciò non me la sento proprio di condannare questi tre ragazzini che, pescando granchi, sopravvivono insieme alle loro famiglie.

«Com'è andato il giro di perlustrazione?»
«Bene! Ho trovato un'altra strada da fare per tornare indietro: credo che la famigliola sia passata di lì».
«Davvero, che umiliazione! Lei con due figli è venuta quaggiù, e noi crediamo di aver compiuto chissà quale impresa!»
«Beh, di certo non li ha dovuti portare sulle spalle!»
«Giusto, è un dramma che Francy si stanchi così presto di camminare».
«Dillo a me! Ho la schiena a pezzi. E' stato molto faticoso portarlo su questo terreno e credo che il ritorno sarà ancora peggio».
E proprio mentre stiamo parlando la mamma e i due bambini iniziano a raccogliere le loro cose per andarsene; ma a noi sembra ancora troppo presto: in fondo occorre soltanto mezz'ora per riattraversare tutta la giungla e tornare dove ci ha lasciato l'autobus.