Che rapporto abbiamo con la morte?
Molto dipende dalla propria cultura ma una cosa forse ci accomuna tutti: la difficoltà del distacco che va dal semplice rifiuto del momento fino al non farsene mai una ragione. Noi vegliamo e seppelliamo i nostri morti in tempi molto ristretti, mentre alcuni popoli hanno bisogno di rituali più lunghi, come ad esempio i Toraja, l'antichissimo popolo che vive nella zona interna dell'isola di Sulawesi, in Indonesia, meglio nota come Tana Toraja.
I Toraja, il cui credo politeista è stato per così dire, rimodellato dal Cristianesimo, hanno la consuetudine di fare un primo funerale informale e poi tenersi in casa il morto finché non si sentono pronti alla sepoltura, a lasciarlo andare.
La salma, trattata appropriatamente per non decomporsi, siede con loro a tavola, riposa sul divano, dorme nel letto, insomma si comporta come se fosse ancora viva e parte della famiglia con cui condivide la quotidianità. Nel caso di invito a rendere omaggio al defunto, questo deve essere considerato come se ancora in vita, ovvero ci si può parlare nonché chiedere il permesso per congedarsi.
Il funerale vero e proprio, chiamato Tomate è quello tradizionale, dove avvengono prima dei combattimenti fra tori che possono arrivare da tutta la zona; quindi vengono offerti in sacrificio gli animali appartenuti al morto che, secondo la tradizione, dovrebbero seguirlo nell'aldilà. I bufali sono quelli di maggior prestigio sociale; poterne sacrificare uno durante un funerale è simbolo di ricchezza.
Il Tomate è il rito più importante - l'unico rimasto delle antiche usanze Toraja - e deve essere svolto secondo la tradizione altrimenti porterà sfortuna ai membri della famiglia ancora in vita. Solitamente tra la morte e il Tomate passa il tempo necessario affinché la famiglia abbia i soldi per uno sfarzoso funerale. I mesi preferiti per la cerimonia sono quelli di luglio e agosto, ovvero della stagione secca. In caso non si raggiungano condizioni economiche idonee a una degna sepoltura, l'anima del morto diventerà un Bombo, uno spirito maligno che perseguiterà i vivi.
Il funerale tradizionale dei Toraja è molto cruento e noi non abbiamo voluto vederlo; alcuni viaggiatori incontrati lungo la strada ci hanno confidato di essersene andati senza aspettare la fine. Nel caso decidiate di partecipare, ovviamente dietro invito che comunque qualsiasi guida o agenzia turistica può procurarvi, ricordate di vestire in modo sobrio e con colori scuri e di portare dei doni tipo birre, zucchero, sigarette, o quello che vi suggeriranno gli organizzatori.
I Toraja credono che, oltre gli animali, anche le ricchezze possedute in vita debbano seguire il defunto, che viene perciò sepolto tipo faraone, ornato da gioielli e circondato da oggetti preziosi, come anche dai suoi vizi tipo sigarette o alcolici. Dal momento che questa usanza ha portato un gran numero di profanazione di tombe, i Toraja hanno preso l'abitudine di seppellire le bare all'interno di grotte e caverne, solitamente alte e di difficile accesso. La posizione ha acquisito dunque valenza sociale: tanto più sei sepolto in alto, su per impervie montagne, tanto più alto è stato il tuo rango e quello della tua famiglia.
A guardia delle tombe ci sono i Tau Tau, statue scolpite nel legno che raffigurano il defunto. Anche queste nel tempo hanno cominciato a essere rubate e ormai sono visibili solo in alcuni siti turistici: in tempi moderni i Toraja le tengono in casa e non più alle tombe.
Sempre in agosto ogni anno si tiene il Ma'Nene, il rito di riesumazione delle salme sepolte da tre anni che vengono lavate, pettinate e cambiate d'abito, portate in processione per il villaggio, tenute un po' in casa dove possono ricevere visite, e quindi sepolte di nuovo. Anche nel caso siano rimaste soltanto le ossa, queste vengono pulite e avvolte in pregiate stoffe.
Il nostro secondo viaggio in Indonesia ha un motivo ben preciso, visitare questa zona non tanto per il culto dei morti, quanto per le bizzarre case in legno dai tetti a forma di corna di bufalo e le pareti esterne scolpite e dipinte, note col nome di Tongkonan, dove ancora oggi vivono i Toraja, che per noi sono attrazioni turistiche, mentre per loro sono abitazioni vere e proprie.
A dire il vero le teorie sul significato dei tetti sono due: quella delle corna di bufalo e quella della prua e della poppa di una nave. La prima ha origine dagli animali usati nell'agricoltura e molto importanti per il rango sociale di una famiglia e per i sacrifici che vi dicevo sopra. La seconda dal fatto che questo antico popolo è giunto fin qui navigando fiumi interni per poi addentrarsi in zone di montagna, ed è probabile che voglia onorare il mezzo di trasporto usato ricordandolo nei tetti.
Fuori dalle Tongkonan appartenenti alle famiglie più facoltose sono in mostra file di corna di bufali e tante più ne hai, tanto più sei importante. E' facile che vicino alle case principali ce ne siano altre più piccole adibite a granai o locali di servizio.
Le Tongkonan non possono essere acquistate né vendute e solitamente i Toraja le ereditano oppure le costruiscono sui loro terreni: è facile vederne alcune mentre vengono tirate su. Le soluzioni per dormirci dentro offerte ai turisti - ve lo dico subito - sono delle ricostruzioni fatte a somiglianza ma l'interno è diverso e il tetto non è abitabile come nelle case originali.
La zona di Tana Toraja è splendida, difficile da raggiungere, con strade terribili come un po' tutta Sulawesi ma, dopo Komodo, per noi è un altro sogno che si è avverato.
Raggiungerla richiede spirito di adattamento, un po' di tempo e qualche Xamamina ma ne vale senz'altro la pena. Il periodo migliore per questo viaggio è luglio, agosto.
Nei prossimi post vi racconterò in dettaglio le nostre escursioni in zona.